Per forza di cose. Parte 2
- Giorgia Valt
- 17 ago 2017
- Tempo di lettura: 14 min
Collaborazione con Nubius Dee
Questo cesso è così piccolo che mi sembra di stare chiusa in una gabbia per criceti. Mi manca l’aria, spero almeno di non svenire prima di essere uscita da qui. Ma sì, se svengo poi che cazzo me ne fotte. Dio che cesso ridicolo, che buco di cesso. Ma non sanno più che cazzo di cessi fare alla Feltrinelli? Ok, Agata, calmati. Forza, calmati. Adesso esci di qua, fai un bel respiro e ti dai una calmata, ok? Raggiungi tuo marito e civilmente decidi con lui che libro comprare per il compleanno di vostro figlio. Dai, forza. OK. Uscita. Eccolo là con la commessa, davanti ai libri di Wallace. Cazzo, Wallace, quel tossico di merda! Wallace proprio no, per Dio, no no no! Tutti ma David Foster Wallace no! Quello stronzo sa che lo odio, mai potuto sopportare, mai riuscita a leggerne più di dieci righe. Paolo lo adora come un Dio, ok, ma qui il libro lo si sceglie insieme, porca troia, non lo sceglie lui. Devo respirare. Devo stare calma. Cazzo no, non ce la faccio…ecco i miei buoni propositi che vanno a farsi fottere, perché lui, il coglione, fa di tutto per farmi uscire di testa! «Scusa Mauro, ma se Hemingway non va bene, non vedo perché dovrebbe andare bene Wallace. Scegliere insieme ti sembra troppo?» «Io credo che Wallace sia perfetto per Nicola, Agata» «Perfetto un caz…ehm…Scusi, ci può scusare un momento?» Ok, ok, sono riuscita a trattenermi. Quasi. Ma ora che la commessa se ne va mi sente. «Senti Paolo, ne ho i coglioni pieni del tuo egoismo di merda. Decidi tutto tu, fai tutto tu. Se hai intenzione di continuare così compra pure Wallace, io il regalo a Nicola vado a comprarlo da un’altra parte» «Prima di tutto datti una calmata e cerchiamo di non fare sceneggiate in mezzo al negozio…se no qui quello che se ne va sono io. Recepito?» Stronzo di merda. Fa di tutto per provocarmi e adesso ha pure il coraggio di dirmi di stare calma. Col cazzo che sto calma. E’ una provocazione continua, continua. Ma come cazzo farà Luisa a sopportarlo? Ma che se lo prenda sto quarto d’uomo, che se lo prenda solo! «Ok Paolo… ascoltami bene. Io finora ho cercato di mantenere la calma ma tu stai facendo di tutto per farmi uscire di testa, vero? Ma ti va male perché oggi non abbocco e sarò chiara. Se hai qualche libro meno merdoso di questo da proporre proponi pure, se no a Luca faremo regali separati come l’altr’anno. Ti avverto, di oggi mi hai già rotto abbastanza i coglioni, vediamo di fare in fretta». «Agata… ma vaffanculo, vai. Facciamo pure regali separati come l’altr’anno. Sei tu che mi hai davvero spaccato il cazzo con le tue bizze, i tuoi capricci, le tue continue recriminazioni di merda. Chiedi pure un passaggio alla commessa per tornare a casa, mi pare che ve la intendiate abbastanza, no?» Ma senti con che tono pacato di merda mi manda a fare in culo, manco le palle di farlo davvero. «Ok, pezzo di merda. Te la sei voluta tu. Lo faccio solo per Nicola, scegliamo pure il regalo insieme. Ma da stasera te ne dormi sul divano» Sono stata abbastanza convincente? «Ribadisco: vaffanculo Agata. E sul divano se vuoi ci dormi tu, tranquilla, non ho problemi a trovare un letto».
È andata meglio del previsto. Porca troia, abbiamo schivato un proiettile. Ho visto la luce nei tuoi occhi, ho visto quanto fossero spiritati: lo so che ti ho fatto incazzare di brutto. Mi fai ridere. Le parole violente ti fanno bene. Ti fanno diventare paonazza, ti fanno esplodere la rabbia nel petto; ragli qualche insulto, quale minaccia, ma fai soltanto ridere. Lo sai anche tu che stanotte dormirò nel mio lato del letto, e tu sarai lì vicino a me. Ridicola. Non sei nemmeno padrona in casa tua. Mentre sculetti verso l’inserviente per giustificarti e insultare quella merda di tuo marito, mi perdo a guardare le coste delle copertine. I colori, le forme, le dimensioni, come se questa libreria fosse un quadro di arte contemporanea. Incomprensibile, insondabile, magicamente evocativo. Ma che ne sai tu dell’arte, che ne sai della letteratura. Tu che hai passato gli ultimi vent’anni a spendere i miei soldi in scarpe e vestiti. Che ne sai. Mi volto, per vedere a che punto è arrivata la tua dichiarazione di guerra. Non stai più parlando con la signorina, non ti trovo più. Che palle, sei peggio di un bambino. Rimetto nello scaffale un volumetto di Franzen e mi lancio alla tua ricerca. Mi dirigo verso l’ingresso con lo sguardo pigro. Porca di quella troia. Ma porca troia vaffanculo. Cosa cazzo ci fa qui quella merda di Mauro. E per quale fottuto motivo tu ci stai parlando davanti a tutti. Sento il cuore battermi alla base della gola e il mio stomaco diventa un macigno. Non riesco a pensare. Le pulsazioni mi invadono il cervello e mi assordano, la vista si annebbia. Come cazzo vi permettete. Cazzo cazzo cazzo lo prendo per la manica lo tiro lo lancio contro la porta i suoi occhi sono sbarrati non capisce cosa sta succedendo e lo spingo fuori lui urla io urlo Agata urla tutti urlano cerco di respirare devo cercare di respirare. Calmati. «Vattene, pezzo di merda.» «Ma-» «Ho detto vattene e lascia in pace mia moglie.» «Paolo ma che cazzo ti prende?!» «Con che coraggio ti fai vedere, eh, pezzo di merda?» «Sign-» «Paolo! Piantala!» «Non farti mai più vedere non avvicinarti mai più a mia moglie.» Lurido, schifoso, merdoso, bastardo. Vattene a rovinare il matrimonio di qualcun altro.
Dio che figura di merda che Cristo di figura di merda che porca troia di un bastardo crepa porco crepa all’istante Dio ma crepa male. Ma malissimo proprio, come un cane. «Mi spiace Mauro…cazzo, mi spiace davvero, è pazzo» No non te ne andare così, Mauro, tirami fuori da questa situazione di merda, prendilo a pugni, fai qualcosa cazzo, cacciagli i denti uno ad uno in gola, fagli ingoiare la lingua. Se lo fai stavolta mi faccio scopare davvero, giuro, mi faccio scopare da te pur di vedere questo coglione volare giù dalle scale. «A me non dispiace un cazzo invece, merda di uno sfascia famiglie! Levati dai coglioni prima che ti prenda a calci nel culo, e vedi di lasciare in pace mia moglie!» Eccola la ciliegina sulla torta, ci mancava, le minacce cazzo le minacce porca merda, sento gli occhi di tutti addosso. Persino i peluche ci guardano, persino i cazzo di peluche del reparto bimbi. Dio, sono fuori di me. Non è possibile, ci stanno guardando tutti, tutti, tutta la Feltrinelli a bocca aperta. Mauro mi saluta appena e se ne va, è sconcertato ovviamente, registro la sua camminata basculante, mi sento svenire, ho voglia di sputarti in faccia, Paolo, di defenestrarti, di spaccarti un estintore su quella tua testa mezza pelata di merda. Mi fai schifo verme schifoso, tu e quella troia di Luisa, tu e il tuo calcetto di merda per nascondere i tiramenti d’uccello d’un mezzuomo senz’arte né parte, d’un merdoso fallito come te. Proprio tu hai il coraggio di venire a farmi ‘ste scenate da neuro, cazzo, ‘ste scenate proprio a me e a ‘sto poveretto di Mauro che non toccherei manco coi guanti. Manco coi guanti, porca troia. Proprio Mauro, cazzo, mi reputi così orribile da non poter trovare uomini migliori? Mi viene da piangere. «Sei un coglione di merda, Paolo, un coglione di merda! Ecco chi ho sposato, un coglione di merda!” «Vedi di non rompermi il cazzo, Agata. Guarda come ti rode il culo. Vai, vai a trovarlo nel suo cessetto di casa, adesso! Nella sua topaia da pezzente che non è neanche riuscito ad arredare da solo! Solo tu puoi scopartelo uno così, solo tu. Manco le palle di rispondere, il coglione. Guardalo, guardalo come corre…coniglio!!» Voglio vederti morto, Paolo, morto. «Tutto bene, signo…?» Il commesso ci guarda pallido, prova a intromettersi, non ce la faccio e mi rendo conto di lanciargli un’occhiata feroce. Adesso Paolo mi deve ascoltare. «E tu e Luisa? Eh? Quella troia? Te lo ricordi il messaggino della buonanotte? Eh, te lo ricordi due mesetti fa? Buonanotte al mio caro #billclinton, vero? Diceva così no? Con lei il cazzo ti si drizza ancora bruttammerda? Te lo succhia bene il cazzo, la puttana, sotto la scrivania? Scopati, scopati la tua troia e lasciami in pace va, coglione! Mauro è cento volte più uomo di te, bauscia!» E con questa basta, con me ha veramente chiuso il bastardo. Basta davvero, prendo un libro a cazzo dallo scaffale degli Hemingway, andrà benissimo. Vada a fare in culo. Pago e quasi non me ne accorgo, esco dal negozio. Sono in strada. Non so che cazzo farmene di un uomo così. Piango come una bambina a cui hanno sbagliato il regalo di Natale.
Ma che cazzo. Deve proprio roderle il culo di brutto per reagire in questo modo da psicopatica. Quanto rumore per nulla. Sì, ormai l’hanno capito tutti qui dentro che hai una tresca infame con quella merda infame. E ti abbassi ad inventarti storie ridicole di tradimenti e scopate fantasma con Luisa. Pensavi di umiliarmi davanti a tutti? Hai fallito. Hai fallito, cazzo. E poi dove cazzo pensi di andare, che siamo venuti con la mia macchina. Ti farai venti chilometri a piedi, giusto per ricordarmi chi comanda? Bella trovata, cogliona di merda. Io me ne tornerò a casa mia, comodamente nella mia macchina con l’aria condizionata, e mi butterò nella mia poltrona e accenderò la mia televisione. L’unica cosa che è veramente tuo, lì dentro, è il tuo cazzo di orgoglioso silenzio. Ma poi chi cazzo se ne frega di Mauro. È rimasto lì fuori, a bocca aperta come un pesce morto, a fissare il vuoto tutto rattrappito nel suo terrore. Deve essere un vero stallone a letto, eh, Agata? Ma che cazzo. Mi avvio verso l’auto con le mani in tasca, tenendo la testa bassa. Lo sento che nel mio stomaco si dibatte il senso di colpa, non sono insensibile. Ma tu. Oh, tu. Cosa ne sai dei sentimenti, dei pensieri umani, delle paure e degli amori. Sei soltanto una macchina programmata per distruggermi la vita. Quando mi siedo dietro il volante sono costretto a mordermi la lingua per non piangere. Non voglio piangere per te, non voglio piangere per nessuno. Le uniche persone per cui sono disposto a piangere sono i miei figli. Metto in moto e guido verso casa: spero davvero fortemente che tu te ne vada in giro da qualche parte, magari in qualche centro commerciale a fare shopping notturno. Ti prego, torna a casa tardissimo, magari sbronza, così potremo litigare e io finalmente avrò ragione. Mamma mia, che tristezza infinita. L’auto mi annuncia che il mio telefono sta squillando, nella tasca dei pantaloni; è Luisa. Non riesco a non sorridere, pensando all’ironia delle circostanze. Dovrei rispondere? Giusto per fare dispetto a quella merda di Agata. «Pronto?» dico ad alta voce al microfono dell’auto. Mi fa sempre un certo effetto parlare alla mia macchina. «Ciao, Paolo. Ti disturbo?». La voce di Luisa è lontana, stanca, affranta. Forse è colpa degli altoparlanti gracchianti, o forse è perché le manco davvero. Spero tanto che sia così. Mi metto comodo nel sedile, sprofondando nella pelle profumata. «No, sto guidando. Dimmi pure.» «Domani mattina torno in Italia.» «Come mai?». La cosa mi sorprende e mi infastidisce: mi faceva piacere parlarle, ogni tanto, quando si trovava dall’altra parte del mondo. Ora dovrò vederla di nuovo in faccia e fare i conti con quella scopata vergognosa. «Il contratto è finito con sei mesi di anticipo. Siamo stati più rapidi del previsto, oppure gli stavamo costando troppo. Non l’abbiamo capito. Come sta Agata?». Ah, infame. Donne di merda. Vaffanculo. «Vuoi venire a cena da noi, settimana prossima?». Ora ve la faccio pagare. «Volentieri». A entrambe.
Bene, prenderò un pullman. Porca troia, mi viene da piangere, e dove cazzo lo prendo adesso un pullman? Ho passato la vita a farmi scarrozzare a destra e manca da quel merdoso e adesso non sono manco in grado di prendere un pullman da sola. Mi sta bene, cazzo, bella stronza sono stata. Va be’, è tanto che non cammino, vorrà dire che attraverserò la città a piedi, ma sì, oltretutto mi calmerà un po’, quel pezzo di merda oggi ha veramente esagerato. Tra dieci minuti sarà a casa, lui, casa libera, e potrà segarsi amabilmente su una foto di Luisa, o sentirla al telefono, farci una bella chattata erotica delle sue. Cancellasse almeno la cronologia, il pagliaccione. Pezzente. Bastardo schifoso verme laido bolso merdoso ciccione sifilitico. Calmati Agata, calmati. Coglione stronzo figlio di mignotta lurido cazzone impotente. Basta Agata. Adesso calmati e guardati attorno. Era tanto che non camminavo da sola sotto i portici, guarda… guarda, le coppiette di ventenni che se ne vanno in giro, mano nella mano, sotto il diluvio. Ignari, ignari imbecilli del cazzo, vedrete come sarete contenti tra vent’anni. Tutta quell’intesa patetica, i vostri baci sulle panchine, tra le merde dei piccioni, le storie che vi raccontate, le palle che inventate, i castelli che costruite nell’aria ferma delle giornate impossibili trascorse a letto, a tapparelle abbassate, con in testa quel diluvio di emozioni, puzza di lattice e cera che cola dalle candele…tutte palle! Quando diventano mariti conta solo più quel che gli dice il cazzo in tiro! Ma che cazzo voglio poi davvero, io? Sarà che non riesco a non ripensarci, a quelle giornate con Paolo, quelle infinite domeniche pomeriggio a casa sua, quando il suo desiderio mi sommergeva, ritemprava, riempiva? Eppure… eppure…e se per noi fosse indispensabile amarsi così, a suon di piatti volanti e bestemmie e insulti e vade retro e feroci ritorni? Ma dai, smettila con le puttanate Agata, non hai più sedic’anni. Ma forse, però…. oh cazzo, ma quello là seduto al bar non è Mauro? Oh porca troia, sì è lui, oh sì è proprio lui. «Mauro…Mauro!» Ok, si è girato. Ora corro a chiedergli scusa, che cazzo ne può lui dei deliri di quel coglione di Paolo? «Ciao Mauro… senti… scusa, mi spiace per la scenata di poco fa… mi spiace davvero… lui crede… lui crede che…» «Che io e te scopiamo con una qualche regolarità, immagino…». Però Mauro, che tipo, pane e pane e vino al vino, non ti facevo così. «Beh, sì… ha quest’idea del cazzo da quando sei arrivato in ufficio…senti, posso… posso sedermi?» «Prego, bevi qualcosa? Mi sono fermato a prendere un drink per dimenticare l’ira del peloso Paolo». Ecco, lo sfotte pure lui. «Eh…mi spiace Mauro, non sai quanto mi spiace… ma non è un gran periodo per noi… e così… sì, insomma, hai capito… comunque sì dai, bevo quel che bevi tu… cos’è?». Dio che imbarazzo. Devo sciogliermi un po’, o prenderà per matta pure me. «Giappone, è un cocktail. Niente male» «Fai due allora, tanto vedo che l’hai quasi finito. Sto giro lo offro io…anche per farmi perdonare d’aver sposato una bestia così» «Questa è classe Agata, cazzo se è classe. Ben detto. Alla faccia del peloso Paolo allora. Cameriere, quattro Giappone!». Quattro? Uhhhhhhhhhh Mauro, ma mi vuoi vedere sbronza?…ma sì, perché no. «Non sapevo bevessi così tanto, Mauro… o più che altro non sapevo che bevessi» «Non sai tante cose di me, Agata. Suppongo che tutti questi Giappone ci aiuteranno a parlare un po’, non credi?» «Credo proprio di sì, Mauro». Sono una cretina, cazzo. Però sto Mauro non mi aveva mai parlato così. Saranno tutti sti Giappone. Ha qualcosa di diverso qui al bar, lontano dalle scartoffie dell’ufficio, da quella sua scrivania fantozziana, dal suo cazzo di ficus da interno. E guarda come muove bene le labbra quando parla, niente male davvero, che bei labbroni sensuali. Certo che quelle mani, però… così piccole… Paolo ha delle mani da uomo, questo sì cazzo, questo gli va riconosciuto. Dai mollala Agata, mollala, sei una donna sposata. Sposata con un pezzo di merda, sì. Mollala e torna a casa. Non la mollo manco per il cazzo, oggi voglio divertirmi. Una piccola vendetta è quel che ci vuole. E poi Mauro mi pare un altro oggi, potrebbe persino intrigarmi, non sarà Paolo ma… Fanculo viva la vida. Dio sto Giappone se sale. Dieci minuti e ne ho già bevuti tre. E come si parla bene, scivolando nell’oblio. «Senti Mauro, perché la prossima settimana non vieni a cena da noi? Sono sicura che Paolo ti chiederà scusa di persona…» Ma che cazzo sto dicendo?! Ma sì dai, ricordati, la piccola vendetta, giusto giusto giusto giusto, è giusto così. Tiriamo su un bell’incendio e vediamo che succede. Mi è sempre piaciuto dar fuoco alle cose. Voglio vedere il culo di Paolo andare in fiamme.
Il cesso è piccolo, quasi non ci stiamo in due, ma che cazzo è successo, ne vedo quattro, di cazzi. Però si porta bene, il Mauro, Dio ma glielo sto succhiando per davvero, ma quanti Giappone abbiamo bevuto, ma poi chi cazzo se ne frega… non mi sentivo così da secoli… anche un pompino puo’ essere sacro amore, lo diceva sicuro un filosofo o un cantante o quel puttaniere del direttore, boh, o forse no forse no forse no ma non importa non mi importa di un cazzo non mi importa più di un cazzo di niente. «Mai successo prima, Mauro?» Biascicare e succhiare, bei tempi andati. «Mhhhhhhh…….Agata, mhhhhhhhh….» Amaro il succo della vita. «Hai finito Mauro? Ricomponiti dai, prossima settimana a cena da me». E adesso come cazzo mi pulisco? Ops.
«Ma dove stracazzo sei?». Quella zoccola di merda. Sono le otto. Dove cazzo è la mia cena. «Non mi rompere i coglioni. Sono in giro. Torno quando ho voglia.» «La mia ce-». Tu tu tu tu tu. Urlo a bocca chiusa nel silenzio della mia casa. Mamma mi ha insegnato che non si bestemmia ma, porco giuda, ne avrei una per ogni giorno del calendario. Me li rigiro nella testa, tutte le bestemmie e gli improperi che mi vengono in mente; li gusto sulla punta della lingua, tra i denti, sul fondo del palato. Che parole amare. Già che ho il cellulare in mano faccio un colpo di telefono ad Ahmed. «Signor Paolo, ciao.» «Ahmed, portami su una pizza con il salame piccante. Fai in fretta. E una birra. Due. Tre. Tre birre. Corri.» «Sì, signor Paolo.» Questa è la reverenza che voglio. Non chiedo troppo, mi sembra. È il giusto compenso per una vita passata a lavorare per gli altri, cazzo. Dalla poltrona riesco a vedere le foto del nostro matrimonio. Ma quanto eri bella. Raggiante, meravigliosa, una marea di erotismo avvolto nei pizzi e nella seta. Mi cade l’occhio sulla bottiglia di courvoisier nella vetrinetta di fianco alle foto: senza pensarci troppo, la afferro dal collo e ne tracanno un paio di sorsi. Ah, ottimo questo sapore di vendetta: il tuo courvoisier, quello comprato dai tuoi genitori nel loro ultimo viaggio prima di morire, quello che puoi bere solo tu per festeggiare i tuoi piccoli successi, scende che è un piacere. Ne bevo ancora un paio di sorsi e me lo porto sul tavolino di fianco alla poltrona. La base della gola formicola per l’alcool ad alta gradazione e per l’adrenalina. La pizza arriva e sbatto la porta in faccia al fattorino senza nemmeno pagare. Ahmed capirà. Prima ancora di aprire il cartone della pizza, tracanno in un sorso solo una delle bottiglie di birra. Poi taglio la pizza in quarti e mangio le quattro fette nel giro di cinque minuti. Quasi senza prendere fiato, apro la seconda bottiglia e butto giù tutto il contenuto in un paio di sorsate. Stappo il courvoisier e bevo un paio di sorsi anche di quello. Oh, benessere e vendetta. Le gambe mi pizzicano e le sento intorpidite: presto sarà il turno anche dei piedi e delle mani. Mi aggiro per la casa usando le pareti e i mobili come corrimano. Fatico a centrare la tazza del cesso. Bevo la terza birra. Apro il frigorifero e lo chiudo. Mangio qualche crosta fredda di pizza. Bevo altro courvoisier. Mi sdraio per terra. Cazzo è finita la birra. Rompo un soprammobile. Mi tolgo i pantaloni. Cazzo è finita anche l’altra bottiglia. Aspetta aspetta ho rotto qualcosa cos’era. Quella saliera di merda sì mi ricordo te l’ha regalata una donna qualche anno fa. Saliera. Che nome strano. Saliera. E aspetta ecco la pepiera. Pepiera. Che brutta, porco cazzo. Forse è meglio rompere anche questa così la facciamo sparire per sempre. E sì anche quel vaso guarda quel vaso cazzo l’ho sempre odiato te l’aveva regalato un bambino che l’aveva fatto lui madonna quanto è brutto finisce a terra pure lui assieme al resto. Sì sì sì questa statuina che ti ha regalato la tua bisnonna giù anche la statuina. Butto per terra anche questo vasetto è di metallo non si romperà ma io lo butto giù lo stesso. La foto. Questa foto. Questa foto io me la ricordo ce l’hanno scattata su quella spiaggia a Cuba eravamo belli eravamo felici tu
eri bella. Tu sei bella e io ti amo tanto ti voglio per me e tu non mi vuoi e allora vaffanculo ti rovino la vita adesso finché non ti ricordi che anche tu mi ami. Giù anche la cornice raccolgo la foto e la faccio in mille pezzi oè i coriandoli oggi è festa. Festa grande in casa mia. Giù tutte le tue foto le nostre foto giù tutto giù tutti i soprammobili giù giù giù. Sbocco in un angolo del salotto e cado.

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