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Dunkirk. Il ritorno del figliol prodigo.

  • Immagine del redattore: Giorgia Valt
    Giorgia Valt
  • 2 set 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

Lo abbiamo aspettato per mesi, mangiandoci le mani nell’attesa. Abbiamo sperato fortemente che Dunkirk fosse all’altezza degli altri capolavori immensi di Nolan. Le attese sono state ripagate? Chissà. Così come ci hanno ampiamente raccontato i trailer nelle scorse settimane, Dunkirk è un film che parla di guerra: racconta la drammatica storia degli eserciti inglese e francese intrappolati dal nemico sulla spiaggia in Dunkirk, impossibilitati a fuggire e in attesa di soccorsi. Parla della frustrazione, dell’eroismo, della paura di soldati senza più armi con cui difendersi. Il film è l’ultima perla nel gioiello che Nolan ha costruito negli anni: il taglio registico inconfondibile, le inquadrature piene di pathos, la palette cromatica scura e tendente ai toni del blu e del verde, le musiche di Hans Zimmer cucite alla perfezione sulle scene del film. Nolan, spesso aiutato e sostenuto dalla capacità narrativa del fratello, ha regalato al mondo meraviglie come Inception e Il Cavaliere Oscuro. Il primo vanta una costruzione della trama complessa ed entusiasmante, sostenuta dalla potenza espressiva di Leonardo Di Caprio e da una colonna sonora talmente magistrale che merita di essere ascoltata da sola. E come non parlare della conclusione enigmatica di questo capolavoro, che ha lasciato tutto il mondo perplesso e meravigliato. Il Cavaliere Oscuro, dall’altro canto, è il film del Joker: una costruzione dei personaggi “cattivi” da manuale, così antieroici da diventare, volendolo o meno, i protagonisti indiscussi della pellicola. Il tutto condito dalla leggendaria capacità recitativa del compianto Heath Ledger. Siamo andati a vedere Dunkirk aspettandoci l’ennesimo capolavoro. Aspettandoci un film sulla guerra diverso dal pacchiano eroismo di Indipencence Day e anche diverso dalla drammaticità di Salvate il soldato Ryan a cui ormai siamo abituati. Sin dalle prime scene, è già evidente il marchio di fabbrica di Nolan. Le stesse tonalità, lo stesso tipo di montaggio, la stessa intensità nella colonna sonora. Fin da subito si capisce come sarà costruito il comparto narrativo: tre storie differenti, con tempi d’azione diversi, che sembrano convergere tutte nello stesso punto della trama. Ogni trama ha i suoi personaggi, le sue frustrazioni, le sue angosce. Ogni trama ha i suoi silenzi: esatto, perché Dunkirk è un film che parla anche del silenzio che accompagna la paura di ciascuno dei personaggi. I dialoghi sono ridotti al minimo, e sono le immagini a farla da padrone: una fotografia intensa, dinamica ed emotivamente violenta. E il ticchettio di un orologio, la cui frequenza varia al cambiare del ritmo dell’azione, è l’unica compagnia costante per quasi tutta la durata del film. A livello registico, davvero ineccepibile. Nonostante questo, nonostante il mio amore incondizionato per la produzione sopraffina dei fratelli Nolan, questa volta ho qualcosa da dire. Dopo mezz’ora di film mi sono resa conto che mi stavo annoiando: e la noia in un film di guerra significa che qualcosa non sta funzionando a dovere. Sebbene la narrazione sia intervallata da climax costruiti ad arte, accompagnati a dovere dal ticchettio e dalla musica, il ritmo generale del film è lento. E dopo la prima macrosezione narrativa, tutto mi aspettavo fuorché la ripetizione molto simile di quello stesso pattern narrativo. Per altre tre volte, nell’ora successiva. E dopo la seconda ripetizione della scena clou, sapevo esattamente cosa aspettarmi di fonte ad una nuova riproposizione dell’evento. Ho trovato tutte e tre le storylines piuttosto deboli; e se dovessi dividere il film in macrosezioni, mi troverei in imbarazzo. E, per carità, il teatro dell’assurdo ci ha abituato a eventi narrativi in cui non succede assolutamente nulla: ma non è possibile che non accada niente di rilevante in un film di guerra. I pochi dialoghi presenti non riescono a salvare la baracca narrativa. Per finire, gli unici attori veramente validi non sono stati valorizzati a dovere, dal mio punto di vista. Tom Hardy ha il volto coperto per tutto il tempo del film: ma non con la stessa efficacia de Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. Semplicemente, per quel poco che veniva inquadrato in volto, non riusciva a mostrarsi efficacemente espressivo. Cillian Murphy, già lo Spaventapasseri in Batman Begins, ha forse l’unica parte interessante in tutto il film: è l’unico personaggio che mostra una sorta di evoluzione interiore, e con le sue espressioni facciali lascia trapelare a dovere il suo dramma interiore. Peccato che nella trama non gli venga riservato il posto che si meriterebbe. Tutto ciò condito da gesti di eroismo hollywoodiano che hanno senso ai fini della trama ma che, sinceramente, potevamo risparmiarci. Sia chiaro, non ho demolito Dunkirk. È un prodotto registico di altissimo livello e da questo punto di vista rispetta le aspettative. Ma il cinema è un’espressione artistica a tutto tondo, che oltre ad un apparato tecnico di sostegno deve mostrare un efficace comparto narrativo, perché il film sia di qualità. Sappiamo che Nolan può regalare trame come quelle di Memento e di The Prestige; quindi: cosa è andato storto questa volta? Sì, sicuramente sono io ad essere troppo esigente. Il primo commento che ho sentito in sala dopo la proiezione del film è stato: questo è il più bel film di guerra che abbia mai visto. Sì, forse sono io che non ho capito niente. So soltanto che ho visto il film ieri sera e già non mi ricordo quasi nulla della trama.

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