Il sugo
- Giorgia Valt
- 14 mar 2017
- Tempo di lettura: 5 min
Dopo aver messo lo spicchio d’aglio nella padella mi accorgo che l’olio non è abbastanza caldo. Forse non va bene, ma non mi ricordo. Devo aver letto da qualche parte che l’olio deve essere bollente; sicuramente per le fritture. Aspetto che inizi a sfrigolare, così posso buttare la passata. Una volta ho visto qualcuno svuotare la bottiglia di sugo, riempirla con un goccio d’acqua e buttare l’acqua nella padella: non ho mai capito se fosse un trucco o una scusa per lavare la bottiglia. Ogni tanto lo faccio anche io. Un lato dello spicchio d’aglio è diventato marrone, mi sono dimenticata di girarlo. Stupidi fuochi, ancora non ho capito come regolarli: un secondo prima la padella è gelida e un secondo dopo è incandescente. Al diavolo l’aglio. Lo giro con le pinze, magari l’olio non sa ancora si bruciato. Devo ricordarmi di controllarlo spesso: non ha senso abbassare la fiamma. Intanto apro la bottiglia della passata e la annuso. L’odore del pomodoro crudo è così acido e pungente che forse è scaduto. Leggo l’etichetta: mancano due anni. Cazzo, l’aglio. Controllo il lato immerso nell’olio, ed è diventato nero peggio dell’altro. Davvero, al diavolo. Lo devo buttare. Dovrei buttare tutto. Verso la passata e a contatto con l’olio esplode un rumore sfrigolante. Inizia subito a bollire furiosamente, come lava. Guardo i residui di pomodoro sulle pareti della bottiglia: non voglio annacquare il sugo. Già si deve ridurre, non ha senso aggiungere altra acqua. Bolle bolle. Dovrei abbassare il fuoco, perché deve ridursi piano senza bruciare. So cosa succede, in questi casi: gocce rosse su tutti i piani della cucina, muro e kappa. Un disastro che vorrei ripulisse qualcun altro. Copro mezza padella con il coperchio, in modo che l’acqua abbia spazio per evaporare e il sugo non finisca dappertutto. Bell’idea, ma potrei prendermi uno di quegli affari fatti proprio apposta per queste esigenze. Ci vorrà una decina di minuti. Poi dovrò assaggiarlo, condirlo, assaggiarlo di nuovo, aggiustare e assaggiare di nuovo. Scolare la pasta, farla saltare nel sugo. Mangiare da sola davanti alla TV. Adoro la mia pasta al pomodoro: sembro così stupida a pensare una cosa del genere. Nessuno adora cose fatte da sé. Tranne forse i narcisisti. Avevo letto quel saggio, un tempo; quello di Freud. Vatti a ricordare il titolo; vatti a ricordare anche il contenuto, a quanto pare. Merda, ma è mai possibile che leggo un libro e non mi ricordo cosa ho letto? Cosa leggo a fare allora? Decine e decine di libri letti fin dall’età più tenera e non me ne ricordo neanche mezzo. Ma ricordo un libro con la copertina blu scuro che parlava di una cometa: lo leggevo un pomeriggio, in piscina, quando le api mi lasciavano in pace. Credo parlasse di Venezia, e delle maschere. Come al solito non ricordo altro. Ma, davvero, ricordo perfettamente quella piscina: era la piscina speciale, dove ci portava papà d’estate, solo ogni tanto perché essendo una piscina con gli scivoli costava più di quanto potessimo permetterci. Ci portava papà perché lui si divertiva sugli scivoli. “La piscina cogli scivoli”. La vedevamo quando andavamo in montagna, sulla superstrada, in basso, in mezzo alle case. E la indicavamo, chiedendo quando potevamo andarci. La risposta era vaga ed evasiva, sapevamo che significata: non potrete andarci quest’anno. Bene. Così andavamo nella piscina sfigata del paese, noiosa da morire. Ma leggevo anche lì; non ho idea di quali libri però. Giro il pomodoro. La fiamma forse è troppo alta o la padella non è ben centrata sul fuoco: nel centro il sugo è diventato tremendamente denso, mentre ai bordi è ancora liquido. Mi decido ad abbassare la fiamma, forse così risolverò qualcosa. Capita spesso, questa situazione con il sugo. Tutte le volte mi dico di tenere basso il fuoco, e tutte le volte mi dimentico. Ma chi se ne frega: devo mangiarlo solo io. Abbasso la fiamma. L’avrei fatto un altro giorno, assieme ai miei fratelli. So che piace anche a loro. Ma io volevo mangiarlo oggi. Magari terrò loro qualche avanzo. Che comunque andrà buttato via, ma come al solito la quantità di pasta che ho buttato in pentola è troppa per una persona sola. Potrei davvero prendermi una cazzo di bilancia e finirla di sbagliare le dosi. Già. Credo che la comprerò assieme a quell’affare per parare gli schizzi del sugo. Al diavolo. Sono già le due e quaranta. Il tempo ha un ritmo tutto suo e diverso per ognuno. Grazie, Einstein, non ci hai detto niente di nuovo: persino il signorotto del settecento lo sapeva, che quando ti diverti il tempo passa più velocemente. Ma qui c’è in ballo un’altra questione: il tempo non passa se lo misuri. E’ come quando aspetti che l’acqua per la pasta bolla. O bollisca. Non riesco mai a ricordarmelo. Devo sempre dire entrambe le ipotesi, almeno una delle due è giusta e sbaglio a metà. Doppia figura di merda? Chi lo sa. Giro anche la pasta, già che ho in mano il cucchiaio. Giro anche il sugo e alzo di nuovo la fiamma; altrimenti non la finisce più di ridursi. Tra una decina di minuti dovrei aver finito, forse anche meno. Due e quarantacinque. Passa il tempo. Il tempo passa. Il sugo bolle e si attacca di nuovo; si sta riducendo troppo. Devo spegnere il fuoco a questo punto? Lo abbasso al minimo e resto a guardare mentre aspetto che il tempo passi. E’ la stessa sensazione che provavo alla fine dell’estate, quando andavo a scuola: compiti finiti, libri letti, amici ancora in vacanza, caldo torrido che spezza il respiro. Noia mortale. Ore e ore ad aspettare che qualcuno mi dicesse cosa potevo fare, levavo i miei lamenti sperando che qualcuno li udisse. E sì che venivano uditi, e zittiti con dolcezza dalla mamma; scivolavo giù dal divano come se mi fossi sciolta al sole e frignavo che noia che noia. Già, in una prefazione ad un suo saggio Asimov parlava della noia, che è il primo nucleo della scienza, o forse è il primo nucleo dell’umanità. Ma con la U maiuscola, non umanità nel senso di razza umana. Ma, anche qui, chi lo sa. E qualcuno poi ha scritto un elogio all’ozio, ma non mi ricordo chi. Bene, anni e anni passati a scuola, sui libri, sui banchi e quello che mi resta è qualche forse e non lo so. Cazzo, due e cinquantasei. Sempre meglio, devo comprare anche un timer. O quello l’avevo già inserito nella lista? La pasta scotta, che schifezza. Afferro lo scolapasta, presine, prendo la pentola e lancio acqua bollente e pasta dentro lo scolapasta. Il vapore mi appanna gli occhiali e mi fa sudare la faccia. Prendo lo scolapasta e butto il contenuto dentro la padella con il sugo, che intanto si è ridotto talmente tanto che sembra una crema di pomodoro. Superconcentrato.

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