Il ringhio e il panorama
- Giorgia Valt
- 1 feb 2017
- Tempo di lettura: 5 min
Il primo ad accorgersene fu un bambino. Stava passeggiando con la sua mamma e mentre le stringeva due dita con la sua intera manina si guardava attorno. Guardava le macchine che sfrecciavano, si fermavano, luccicavano al sole di gennaio. Guardava le scarpe delle persone che gli camminavano affianco e i colori dei pantaloni; ogni tanto alzava lo sguardo e intravedeva qualche volto, ma erano troppo in alto e troppo veloci per riuscire a vederli bene.
A metà del ponte, il bambino vide un signore strano. Era vestito come tutti gli altri signori, e i suoi capelli erano come quelli degli altri signori; ma questo signore strano era seduto sulla ringhiera del ponte. E non guardava verso le macchine, ma guardava dall’altra parte e si sporgeva verso il fiume: i suoi piedi dondolavano nel vuoto dei milioni di chilometri che li separavano dall’acqua del fiume, e le mani erano strette attorno al corrimano di legno.
Il bambino attirò l’attenzione della mamma tirandole la punta delle dita e le indicò il signore strano. Sulle prime la mamma non diede troppo peso alla situazione che le indicava con entusiasmo il figlio, ma quando si accorse che non riusciva a distogliere lo sguardo da quella figura seduta di spalle sul parapetto del ponte capì che quella scena avrebbe cambiato la sua giornata, se non la sua intera vita.
Era la prima volta che assisteva ad un suicidio e non se lo sarebbe persa per niente al mondo.
Così come il bambino e la sua mamma, molte altre persone si accorsero dell’uomo che si sporgeva verso lo strapiombo del canale. Alcuni fissavano e passavano oltre, sinceramente dispiaciuti di non potersi trattenere per assistere al finale della storia; pochissimi lanciavano occhiate intimidite e fuggivano; molti si fermarono. Più persone si fermavano, più attiravano l’attenzione di altri, i quali si fermavano a loro volta. E nel giro di pochi minuti, attorno all’uomo che stava per buttarsi di sotto, si radunò una folla di curiosi.
Quel signore, dal canto suo, sembrava non preoccuparsi delle centinaia di occhi che lo fissavano. Osservava qualcosa, da qualche parte, e sembrava stesse aspettando. In pochi riuscivano a vedere il suo volto, e quelli che ci riuscivano non lo distinguevano chiaramente: nessuno era in grado di stabilire l’espressione dell’uomo. Ma, dal momento che si trovava in quella situazione, sul ciglio del suicidio, tutti ritenevano che le sue sopracciglia dovevano essere aggrottate per lo sforzo della concentrazione, del disperato tentativo di zittire l’istinto latente, ma nei suoi occhi sicuramente brillava la speranza della liberazione. Tutti attendevano il momento in cui l’aspirante suicida avrebbe compiuto il suo destino.
Ma non accadeva nulla. Una nuvola coprì il sole ed improvvisamente l’aria diventò fredda. L’uomo sul ponte sembrava non riuscire a decidersi a saltare, sembrava in dubbio tra la vita e la morte. E qualcuno pensò che gli servisse un incoraggiamento.
«Salta!» urlò una voce baritonale tra la folla.
L’uomo si voltò appena e con la coda dell’occhio intravide di tutte le persone che lo stavano fissano, da entrambi i lati del ponte. Gli unici rumori che si sentivano erano quelli delle macchine, dell’asfalto e dei motori; la folla era in silenzio, ormai da diversi minuti in attesa.
«Dai, salta!» gridò qualcun altro: questa volta si trattava di una voce squillante e nasale. L’uomo seduto sul ponte iniziò a sudare sulla fronte e sotto le ascelle, non sapendo come trarsi d’impiccio dalla spiacevole situazione che si era creata. Nel giro di pochi istanti la massa delle persone alla sue spalle iniziò a borbottare, e ben presto il parlottio coprì il rumore delle macchine. Si domandavano quando avrebbe saltato, si chiedevano l’un l’altro quale motivo lo stesse spingendo al gesto estremo, e per quale motivo ancora non si fosse deciso a farla finita.
«Salta!» gridarono un paio di persone. L’uomo sul ponte si sforzava in tutti i modi di non guardare la folla che lo incoraggiava al suicidio, ma la pressione dell’impazienza che sentiva sulla schiena stava diventando troppa: non poteva parlare, ben consapevole di cosa è capace una folla delusa. Così l’uomo sul ponte iniziò a piangere in silenzio e con gli occhi chiusi, cercando di nascondere i singhiozzi e i sussulti delle spalle. I suoi pugni erano chiusi attorno al corrimano e le sue nocchie bianche.
«Forza, cosa aspetti!» strillò la voce di una ragazzina. Le persone stavano urlando, ma non contro di lui: urlavano i loro interrogativi per esprimere l’impazienza che li stava divorando. L’uomo sul ponte, ormai disperato, si domandò cosa avesse fatto e perché.
La folla divenne un ribollire viscerale, un agitarsi di corpi e coscienze che aspettavano solo il momento fatidico, come se tutta la loro esistenza si dovesse realizzare in quel salto. Da che le grida erano rivolte solo all’interno del gruppo, qualcuno iniziò ad urlare anche all’uomo sul ponte: con rabbia e violenza lo incitavano a saltare, a seguire la luce, a non deludere le aspettative. Salta!
I pensieri nella testa dell’uomo si inseguivano e ronzavano, vagliava ogni possibile eventualità per riuscire ad uscire da quella situazione. Le sue mani erano strette attorno al corrimano, e gli era diventato impossibile scendere dalla ringhiera dato che la folla non gli lasciava lo spazio per girarsi.
Decise che l’ultima cosa che gli restava da fare era provare a parlare, a spiegare le motivazioni che lo avevano spinto fino a quel ponte, a quel corrimano. Aprì la bocca per parlare e dalla sua gola fuggì un fischio tremulo; spinse gli addominali contro il suo stomaco irrigidito e riuscì a produrre un verso animale, comunque troppo flebile per poter superare il grugnito assordante che si levava dalla massa della folla. Le sue labbra si mossero senza che producesse alcun suono: «Veramente, io…» dissero le sue labbra. La folla non vide.
Urlavano tutti assieme, ora. Salta! Quasi come un coro da stadio, tutte le persone radunate attorno al suicida gridavano assieme il loro inno. Salta! L’uomo sul ponte piangeva e sudava, perdendo ormai la speranza di salvarsi. Salta! La folla stava diventando furiosa: la voce collettiva era un ringhio a denti stretti, e l’aria vibrava per la tensione. Salta! La nuvola passeggera liberò il sole che tornò ad illuminare e a scaldare il vento gelido di gennaio. Salta! Tra la folla si fece largo un ragazzo giovane, con i capelli chiari spettinati. Salta! Spintonava e prendeva a spallate chi si trovava tra i piedi: voleva raggiungere il suicida. Salta!
Gli occhi del ragazzo erano arrossati e velati da una patina acquosa; le sue guance erano viola e il petto si alzava e abbassava ad un ritmo forsennato. Le sue sopracciglia erano aggrottate e le labbra serrate.
Il ragazzo come una furia spinse di lato un bambino che cadde al suolo in un fragore di strilli e pianti. La madre non se ne accorse, distratta dalla scena catartica che si stava realizzando davanti agli occhi di tutti. Il ragazzo biondo raggiunse il suicida e gli assestò un calcio sulla schiena, con sufficiente forza da far perdere la presa sul corrimano alle mani dell’uomo.
Mentre la folla esplodeva in un’ovazione per il compimento del destino del suicida e delle preghiere di tutti loro, l’uomo precipitava verso il fiume. Si pentì di essersi seduto sulla ringhiera solo per osservare il panorama oltre il fiume.

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